Il concetto di Persona nella Storia.

 

L’origine del termine persona viene comunemente fatta risalire al termine prosopon, che indicava la maschera indossata dagli attori dell’antica Grecia per interpretare i diversi ruoli nelle commedie e nelle tragedie, e al quale corrispondeva il termine persona, dal risuonare (“personare”) proprio di questo oggetto. In epoca greco-alessandrina e romana, la persona diventa il soggetto che parla, di cui si predica qualcosa.

Emmanuel Mounier (1905 – 1950) - nella sua opera più matura, scritta nel 1949 alla vigilia della sua morte, Il Personalismo - tenta di tracciare una breve storia della persona, affermando che essa resta una nozione "embrionale" fino all’era cristiana. Il primo momento realmente nuovo nella cultura greca per quanto riguarda il concetto di persona, si ha con il "γνώθι σαυτον"(“conosci te stesso”) del santuario di Delfi, ripreso da Socrate. Solo con il cristianesimo questa nozione ha assunto connotati più chiari, delineando l’essere umano come creato dall’Essere supremo, il Dio personale, come dotato di libertà, col diritto di peccare e come aperto ai rapporti con l’esterno. Un rischio dei primi secoli cristiani è stato quello di vedere un dualismo tra anima e corpo, ereditato dal platonismo, fino alla visione del realismo tomista che ha riaffermato con forza l’unità sostanziale dei due.

In effetti si può affermare che in filosofia il concetto di persona è entrato grazie al dibattito teologico e metafisico dei primi secoli della cristianità, per spiegare il significato dell’unicità e trinità di Dio e formulare la coesistenza di natura umana e divina in Gesù Cristo. Il dibattito su queste due questioni portò ad affermare che Dio ha un’unica natura o essenza (divina) in tre Persone e che in Cristo si dà coesistenza della natura umana e divina in una stessa persona. Il termine filosofico di persona viene introdotto come traduzione del concetto greco di hypostasis, che indica una sostanza (cioè un’essenza che esiste per sé) individuale. A partire da questa origine teologica, il pensiero cristiano ha poi condotto ad applicare il termine persona all’uomo, per indicare il suo carattere unico e irripetibile e la sua dignità incomparabile. Tommaso d’Aquino, ad esempio, scrisse che «la persona indica ciò che è più perfetto in tutta la natura». Sempre secondo il grande teologo medioevale, l'essere umano non è l'essere ma ha l'essere, perché lo riceve per partecipazione da Colui che è ipsum esse subsistens (sussiste da sé) e lo ha come actus essendi (atto di essere) di una forma, quella razionale, che si concretizza nella 'carne' e nelle 'ossa' (Summa theologica). Singolarità e individualità assumono un significato specifico nell'essere umano in quanto persona, il quale, proprio per tale ragione, ha, rispetto all'Universo, una posizione predominante, perché è sede di libertà di autocoscienza e si realizza nella relazione con gli altri.

Il pensiero cristiano, quindi, ha “creato” dal punto di vista della teologia i concetti di persona umana e persona divina, servendosi per la sua elaborazione teorica della lezione biblica, secondo la quale l'essere umano è stato creato a immagine e somiglianza della persona divina, e delle categorie filosofiche greche.

Anche se la nozione di persona è un’acquisizione che la filosofia deve al cristianesimo, di per sé essa è puramente filosofica, in quanto è frutto dell’esercizio della ragione naturale e utilizza nozioni elaborate, come abbiamo detto, dal pensiero greco classico.

Secondo la definizione di Severino Boezio (475/477 – 524/526)il grande filosofo e senatore romano, le cui opere ebbero grande influenza sul pensiero della Scolastica) ciò che caratterizza la sostanza personale è di essere individuale e di natura razionale; quindi l’individualità implica sia l’unità interna di qualcosa, sia la diversità dagli altri, dunque l’unicità. L’esperienza ci mostra che la persona è un essere individuale – nel senso tanto della sua unità interna quanto della sua unicità e irripetibilità –, in un senso incomparabilmente più alto rispetto a tutto ciò che non è personale. E il fondamento di questa individualità particolare sta nella sua differenza specifica, che Boezio indica con natura razionale. Boezio utilizza il termine natura per indicare l’elemento essenziale, che permane e tocca il cuore della cosa, in questo caso della persona.

Per quanto riguarda la dimensione razionale, San Tommaso d’Aquino modifica la definizione boeziana aggiungendo anche il termine intellettuale, così da comprendere tutte le capacità della ragione umana e divina, e afferma: «Omne subsistens in natura rationali vel intellectuali est persona», cioè «ogni essere sussistente dalla natura razionale o intellettuale, è persona» (Summa contra Gentiles). Con la modernità si è anche descritta la persona come un soggetto, un «io», qualcuno e non solo qualcosa.

Tutte queste espressioni stanno ad indicare quell’elemento caratterizzante che rende la persona la forma più perfetta di sostanza e di individuo. La razionalità esprime in modo specifico la capacità della persona di avere coscienza di sé e del mondo esterno, ma possiamo intenderla in senso ampio come espressione di tutte le facoltà tipiche della persona, perché tutte le facoltà tipicamente personali presuppongono la consapevolezza: non solo quelle volte a conoscere (intelletto e ragione in senso stretto), ma anche la volontà (che per gli antichi è appetito razionale, dunque capacità di muovere in base a ciò che è colto dalle facoltà razionali) e, aggiunge la filosofia contemporanea, quelle dimensioni dell’affettività che non sono puramente istintive, ma rappresentano una risposta a qualcosa di cui siamo coscienti, come nel caso dell’amore, della stima, della gioia per l’arrivo di un amico. Tutto ciò permette di affermare che la persona è una sostanza di tipo spirituale e non materiale. Già la coscienza che l’uomo ha di sé ci testimonia che l’io è una realtà che permea le parti del nostro corpo, comandando ad esempio movimenti e azioni, ma trascende queste parti. È il soggetto semplice e cosciente di tutti gli atti personali.

Nel corso dell'età moderna il concetto di persona così come era concepito dal pensiero medievale perde le sue connotazioni, non sempre a causa di una negazione radicale di esse, ma per la sottolineatura di singoli aspetti già contenuti nel concetto stesso e tuttavia assolutizzati. Da un lato si insiste con Cartesio sul tema della coscienza, del cogito come il rendersi conto di sé. Emergono, così, quegli aspetti sopra indicati, la coscienza e l'autocoscienza, che però si legano ancora in Descartes con una visione sostanziale dell'essere umano formato da due res, cogitans et extensa. Tutto ciò è messo fortemente in questione da J. Locke, per il quale è fondamentale il tema dell'identità personale e della coscienza: tema che caratterizza le posizioni di G.W. Leibniz (che insiste però anche sull'identità fisica e reale come una componente della persona).

D'altra parte, anche se il razionalismo tende ancora a dare una connotazione 'forte' e sostanziale alla persona, privilegia comunque l'aspetto della consapevolezza e della razionalità, ponendo in tal modo sotto il profilo teoretico una questione fondamentale: persona è solo chi è consapevole, oppure chi ha la capacità in senso potenziale di esserlo? La prima posizione sembra prevalere nell'età moderna; il tema dell'autoconsapevolezza dell'essere umano in quanto razionale è presente in Kant, che porta a compimento le prospettive dell'età moderna avviando una riflessione che enuclea tutti gli attributi positivi della persona: anzitutto l'autodeterminazione dal punto di vista etico, ponendo in primo piano la questione della libertà, che sarà una costante nel pensiero filosofico e politico occidentale. La sostanzialità metafisica della persona è negata oppure posta in ombra ed emerge, piuttosto, la sua consistenza etica attraverso la quale si arriva anche a postulare l'immortalità dell'anima (come accade in Kant).

L'idealismo torna a inserire la singolarità personale in uno sfondo metafisico che è, però, l'assolutizzazione della stessa soggettività, con il rischio di assorbire la persona nella totalità (si pensi all'Io di J.G. Fichte e allo Spirito-Ragione di G.W.F. Hegel). La reazione a tale posizione si attua attraverso due filoni: quello che nega, perlomeno in linea teorica, la visione spirituale dell'essere umano e la riduce alla struttura sociale (K. Marx) o a quella biologico-psicologica (L.A. Feuerbach) che dall'Ottocento si prolunga nel Novecento

Alcuni filosofi (Mounier, Hildebrand) hanno distinto tra persona e personalità: ogni essere umano ha una natura personale, è un individuo unico e irripetibile, e anche presenta delle proprietà che pur dipendendo dalla sua natura personale, si sviluppano secondo le proprie caratteristiche individuali, siano esse date con la nascita o acquisite nel tempo. Ma ogni individuo si manifesta come tale, dunque ha una personalità, perché è persona, non è persona a causa delle manifestazioni esterne. Inoltre, la relazionalità deve essere considerata una caratteristica essenziale della persona, anche se la persona non si esaurisce in nessuna delle sue relazioni.

 

Il Personalismo contemporaneo.

 

Nel Novecento tre grandi correnti trattano ancora in modo esplicito della persona: la fenomenologia tedesca, il neotomismo e il personalismo, nati in ambiente francese. 

Nell'ambito fenomenologico, fu Edmund Husserl (1859 – 1938) a introdurre il termine persona nella sua indagine parlandone soprattutto nel 2° volume di Idee per una fenomenologia pura e una filosofia fenomenologica (Ideen zu einer reinen Phänomenologie und phänomenologischen Philosophie), scritto fra il 1913 e il 1928. La fenomenologia dell'essere umano muove dall'analisi degli atti presenti nella coscienza nella quale si riflette e si specchia tutto ciò che lo costituisce; alcuni atti, come quello percettivo, rimandano al corpo, altri, come gli impulsi, alla psiche, altri infine, come quelli volontari che sono alla base delle decisioni o gli atti intellettuali, alla dimensione dello spirito. La persona è costituita, allora, da queste tre dimensioni che la caratterizzano specificamente, e la coscienza è il luogo della consapevolezza. La fenomenologia constata, quindi, l'insufficienza delle “riduzioni” dell'essere umano a un piano puramente biologico e psichico, proprie della corrente positivista, o a forme utilitaristiche ed economicistiche, rivendicandone la spiritualità che si manifesta in modo emblematico anche nella sfera etica e religiosa.

La corrente neotomista, rappresentata principalmente da Jacques Maritain (1882 – 1973), attraverso una rielaborazione di Tommaso d'Aquino, guardando con sospetto la svolta coscienziale delle età moderna e contemporanea. Egli ritorna decisamente alla visione sostanzialistica dell'essere umano come composto di corpo e anima; la persona è un microcosmo e ha una dignità assoluta (riprendendo la concezione degli umanisti), è una totalità indipendente (riprendendo la concezione di Tommaso), è in relazione con gli altri e si apre a una vita comunitaria. Tutto ciò gli sembra già detto e sostenuto nell'età medievale, alla quale, pertanto, è necessario ritornare.
È per questa ragione che Maritain non condivide la proposta proveniente da una corrente che ha fatto della persona il nucleo della ricerca, il personalismo. Anche in questo caso, pur essendo simili i risultati, le prospettive divergono riguardo alla mancata attenzione verso lo sfondo metafisico che caratterizza il personalismo già nel suo fondatore, Emmanuel Mounier.

Il Personalismo contemporaneo è un filone di pensiero sul concetto di Persona che conosce una nuova fioritura nella drammatica stagione di quella che alcuni storici definiscono la guerra dei trent’anni (1914 – 1945), cioè tra Sarajevo e Hiroshima, drammatico segno della capacità autodistruttiva di una civiltà, quella europea, che pure aveva saputo esprimere grandi valori, come quello dei diritti umana o della democrazia.

Non è dunque un caso che le “filosofie della Persona” si siano formate nel contesto della crisi epocale della cultura europea fra le due guerre. Si tratta di una reazione alla negazione del valore della persona teorizzata da varie ideologie, che avevano portato all’imbarbarimento delle coscienze, agli olocausti dei campi di concentramento e di sterminio, alle immani distruzioni di massa.

Le filosofie della persona si presentano e sono soprattutto una risposta alla crisi che, prima di essere politica o economica (indebolimento delle istituzioni democratiche e crollo di Wall Street del 1929) era innanzitutto spirituale e morale.

Mounier, nato nel 1905, non poteva non esser testimone di questa crisi, che tocca il culmine negli anni ’30.  Con la sua opera, che si esprime, soprattutto, nella rivista Esprit, tenta di riavviare una rifondazione della tradizione umanistica, che si riallaccia a questa corrente di pensiero.

La sua opera più importante uscirà proprio nel cuore degli anni ’30, ovvero nel 1935, con il titolo Rivoluzione personalista e comunitaria (Rèvolution personnnaliste et communautaire). Libro che raccoglie le riflessioni fino ad allora portate avanti da Mounier, sulla rivista esprit, da lui fondata nel 1932. Quest’opera voleva essere l’espressione della consapevolezza di come per uscire dalla crisi dell’epoca fosse necessario ripartire dalla persona.

A questo punto, bisogna dire che, per gli intellettuali degli anni ’30, soprattutto quelli di matrice cattolica la crisi coinvolgeva la società, non solamente sul piano strutturale, ma anche su quello spirituale. Negli stessi anni in cui Mounier cominciava ad abbozzare la sua proposta intellettuale, le correnti di pensiero spiritualista, quali quelli di Lavelle e Le Senne,  che nel 1934 fondano un movimento (avente per organo le edizioni Aubier, una collana intitolata philosophie de l’Esprit) personalista, neotomista (Jacques Maritain) esprimono la profonda esigenza avvertita da molti di ritrovare la dignità umana che, ontologicamente,  tende verso l’Alto,  così dimenticata e schiacciata dalle preoccupazioni quotidiane.

Così scrive Maritain nel 1927 in primautè du spirituel: “In verità, l’Europa ha dimenticato la stessa subordinazione dei fini politici ai fini spirituali. È qui la sua grande colpa. Da ciò, con lo stato generale di oppressione dello spirito e della coscienza, quel disprezzo pratico della persona umana e della sua dignità, di cui ciascheduno sente, più o meno oscuramente il peso schiacciante.”. 

Sotto la spinta di una rinascita religiosa, animata dall’enciclica di Pio XI, Quadragesimo anno, promulgata nel 1931, in occasione del 40° anniversario della Rerum Novarum, di Leone XIII, soprattutto in Francia e in Italia, diversi pensatori cattolici spostarono la loro riflessione da un piano puramente metafisico a uno politico. Su questa linea si mossero in particolare Jacques Maritain, con il suo progetto di una nuova cristianità, esposto in umanesimo integrale del 1936, ed Emmanuel Mounier, con la proposta del personalismo comunitario. Questi progetti politici tentarono di smuovere un Cristianesimo, che, a loro avviso, aveva smarrito la propria forza spirituale e per troppo tempo era sceso a facili compromessi con il mondo borghese. 

Bisogna anche dire che tra le correnti filosofiche, sorte in questo periodo, ve ne fu una che, più di ogni altra, subì l’influenza, dell’atmosfera di crisi che in quegli anni coglieva l’Occidente. Tale indirizzo filosofico, che in seguito verrà chiamato Esistenzialismo, concentrò la propria riflessione speculativa nella ricerca di un modo di fare filosofia più attento alla condizione umana quotidiana, per tentare di coglierla nella sua realtà storica.

 

Il Personalismo “rivoluzionario e comunitario” di Emmanuel Mounier

 

Questo movimento di ritorno alla persona ha nell’itinerario culturale e spirituale di Mounier e potremmo dire nella sua stessa esistenza due diversi momenti. A dividerli è scoppio della Seconda guerra mondiale, con la conseguente forzata interruzione della rivista esprit (1941 – 1944), con la quale egli si era identificato al punto da abbandonare una brillante carriera universitaria (era infatti arrivato secondo all’aggregation; superando personaggi del calibro di Sartre, che arrivò 47°) fa da spartiacque.

Nella prima stagione la rifondazione della persona è vista sostanzialmente attraverso l’impegno, volto alla trasformazione della società, al superamento di quello, che egli chiama il disordine costituito. Mounier, infatti, è convinto che le dure condizioni di pace, imposte alla Germania, siano state troppo pesanti e tali da ostacolare una pace duratura. Soprattutto, il pensatore francese è convinto che bisogna passare all’instaurazione in Europa di una pace fondata dalla giustizia, se non si vuole una pace come preparazione della prossima guerra.

Come si può notare, quindi, in questa prima fase del suo pensiero l’aspetto filosofico, pur essendo presente, non risulta dominante (che, come abbiamo visto, Maritain gli rimprovera).

La forzata interruzione della pubblicazione di Esprit coincide con un lungo silenzio, con Mounier costretto dalla persecuzione del governo di Vichy; questo regime filo-nazista, dopo averlo imprigionato gli imporrà un esilio in patria, impedendogli libertà di movimento.

È in questo periodo che il fondatore di Esprit approfondirà la riflessione più propriamente filosofica. Nel 1944 riprende la pubblicazione della rivista e, conseguentemente, Mounier assume il ruolo dell’intellettuale engagé, nel quale prevalgono le esigenze di fondazione filosofica del suo pensiero, che si esprimono in il trattato del carattere del 1946 e in 2 sintetici saggi, intitolati che cos’è il personalismo (1947) e il personalismo (1949). Sta essenzialmente in questi tre scritti lo specifico contributo di Mounier all’elaborazione di una filosofia della persona.

 

La prima fase del pensiero di Mounier. La fondazione della rivista Esprit

 

Si è già constato che, nella prima fase del suo pensiero, Mounier appare più attento ai temi politici e sociologici, piuttosto che arrivare a una compiuta elaborazione filosofica. Questo modo di procedere coincide strettamente con la sua biografia. A partire dal 1930, Mounier riunisce intorno a se alcune personalità; un gruppo di amici, che condividevano con lui lo stesso desiderio di affermare il primato dello spirituale, che, a loro dire, stava progressivamente deteriorandosi, sotto i colpi del Materialismo nelle sue forme di espressione.

Questo primo gruppo di compagni, quali Georges Izard (il più vicino a Mounier), Andrè Deleague e Louis-Emile Galey,a differenza del fondatore di Espri, in seguito, sceglierà l’impegno politico, fondando un movimento, dal nome significativo: “La terza forza” (“Troisieme force”), che rappresenta la terza alternativa tra Marxismo e Liberismo, anche in prospettiva antifascista.

Come si è già detto, questa prima fase e l’elaborazione del pensiero del fondatore è presente nel libro Rivoluzione personalista e comunitaria”. In questo libro si vuole scuotere una gioventù, che, a suo dire, si è persa nel nichilismo. L’autore apre il suo libro con il capitolo “arringa in difesa della gioventù d’un secolo”, nel quale ribadisce in maniera orgogliosa e polemica la rottura coi canoni della cultura dell’epoca; “Generazione senza maestri, è stato detto. Ma è proprio una calamità? Naturalmente la nostra formazione non avverrà per tappe regolari; quindi noi non saremo dei savi e il nostro tempo non sarà classico. Rimarremo esseri imperfetti, principianti. Fra 100 anni quando la storia sarà vista a ritroso sembrerà tanto logica e semplice, coloro che avranno risolto i nostri problemi (non i loro beninteso), ci guarderanno dall’alto in basso. Ma, superbi del loro successo, non sapranno la nostra gioia: gioia spensierata e leggera d’essere l’infanzia d’un secolo, sicuri di non raccogliere, di non portare neppure a termine, sicuri di non aver mai una sistemazione stabile, neppure per opera delle loro mani: in una parola salvi. Questo libro è fatto a nostra immagine. Nato passo a passo con le nostre prime ricerche porta in sé le debolezze, le risoluzioni, le incapacità e le rigidezze teoriche e talora le contraddizioni di un’epoca in cammino.” (Mounier, pp.9-10).

Fin dai primi capitoli, l’autore chiarisce che occorre sottrarre il termine spirituale da un’accezione retorica o peggio ancora reazionaria: “Vi sono virtù di Destra: l’onore, la misura, la prudenza; e virtù di Sinistra come l’audacia e la pace. La carità sta a Destra con l’Accademia, la religione, il ministro della guerra, l’anima […] La giustizia sta a Sinistra con Picasso, i funzionari, l’igiene sociale, il femminismo, la libertà e la psicologia sperimentale.” Detto questo, Mounier ribadisce di voler respingere l’identificazione del mondo spirituale con quello reazionario: “Il mondo reazionario è ben contento di questo privilegio, come pure d’ammettere di conseguenza che tutto ciò che nasce a Sinistra è contro lo spirito. Da una parte e dall’altra si è dimostrata una eguale e buona volontà a conservare una confusione così grossolana.” (pp.24-25).

Per il filosofo, al contrario, il primato dello spirituale è alla base di un “Nuovo Rinascimento”. In un’epoca in cui si parla di rivoluzione, Mounier cita Charles Pèquy: “La rivoluzione o sarà morale o non ci sarà affatto”.  Una rivoluzione con basi solo materialiste, che tiene in dovuta considerazione la persona, quale era il Marxismo, è destinata a fallire. Bisogna ripristinare la centralità dello Spirito e della persona. Infatti, per Mounier e i collaboratori di Esprit, la depauperazione dei molteplici aspetti della vita umana era soprattutto dovuta al lento, ma costante logorio del materialismo, che, inserendosi in essa, distruggeva progressivamente le basi spirituali della società umana. Di fronte a questa presa di coscienza, Mounier e i suoi compagni ritenevano necessario intervenire, senza altri indugi, per la salvaguardia della dignità umana. Il Primato dello spirituale in questa prospettiva diveniva il momento di passaggio obbligatorio se non si voleva correre il rischio di cadere nei medesimi errori.

Sul piano sociale, si era decisi a prendere le distanze sia dal Capitalismo, che riduceva la massa crescente di persone, per la miseria o per il benessere, a uno stato di schiavitù inconciliabile con la dignità dell’Uomo, sia dal Marxismo, “Figlio ribelle del Capitalismo, da cui ha ricevuto la fede nella materia”. Un’importante precisazione veniva fatta però nei riguardi del bolscevismo, al quale si riconosceva l’ampiezza della propria dottrina, anche se la sua grandezza poggiava su una semplificazione dei dati umani.

Mounier però, proprio perché voleva farsi portatore di un messaggio spirituale proprio, non si accontenta di assumere posizioni di rottura con le ideologie materialiste correnti in quegli anni, ma voleva scuotere lo stesso mondo cattolico dalla tentazione, molto facile, di assumere un atteggiamento passivo di fronte alla storia. In una lettera del marzo 1932 scrive, infatti, all’Abbé Plaquevent (1901 – 1965. Uno dei principali leader del dibattito intellettuale cattolico nei primi anni Trenta, molto influente tra i giovani, cui raccomandava di ricercare l’Assoluto e di lavorare per la riforma della società): “Noi ci diamo solamente come regola di disciplina di non cedere a questo pigro uso della rivelazione, che la fa intervenire come una “ratio ex machina”, là dove ci è chiesta, per la stessa legge del lavoro, uno sforzo di riflessione umana”. Con questo egli non voleva dire che i cattolici appartenenti al gruppo di Esprit non avrebbero potuto esprime la propria fede, ma non c’era necessità di ribadire in continuo, come scriverà In una lettera indirizzata al suo grande amico, Georges Izard, nel Febbraio del 1932: “Ci troviamo sospesi tra cielo e terra, sulla corda che non si flette del cristiano; e l’equilibrio può essere mantenuto solo in alto. Questo dobbiamo saperlo, ma non dirlo o dircelo ad ogni istante…”. Bisogna precisare, infatti, che Mounier non concepisce la sua rivista come uno dei tanti fogli cattolici nati nella Francia di quegli anni, ma come luogo di incontro di diverse sensibilità culturali differenti, impegnate ad affermare il valore e la dignità della persona e soprattutto impegnati a ribadire il primato dello spirito sulla materia. Questa posizione diverrà un altro elemento di polemica tra Mounier e Maritain, che intendeva circoscrivere in ambito cattolico la riflessione, approfondita nel suo Umanesimo integrale.

Chiariti gli obbiettivi della rivista, come strumento programmatico di inserimento nel dibattito culturale di quegli anni Trenta in Francia e in Europa, è in questa prima fase che Mounier precisa la sua proposta di rivoluzione personalista. Innanzitutto, il filosofo precisa che il cammino di lenta costruzione e graduale affermazione della persona passa attraverso la qualità della relazione. Per Mounier, infatti, la persona è essenzialmente relazione e l’incontro con l’altro, il dialogo tra l’“Io” e il “Tu” è strutturalmente costitutivo dell’essere, dal momento che dire persona è dire relazione. Questo crea una dialettica tra interiorità ed esteriorità, che segna dall’inizio alla fine la vita personale.

Questa concezione dinamica e non statica della persona fa si che sia per sua natura indefinibile; infatti, ogni definizione fissa rischia di sclerotizzare ciò che invece è mobile, dinamico e fluttuante, trasformando ciò che è e deve rimanere sempre soggetto, appunto la persona, in un oggetto. In questo senso ogni definizione “rinchiude” ogni descrizione. Esattamente questo è il nucleo della rivoluzione personalista; l’idea di dare alla persona un suo significato autonomo, svincolato dall’ideologia della costruzione del comunismo o come parte della macchina produttrice capitalistica, che tende a trasformare l’Uomo in oggetto.

Quindi, per Mounier Il personalismo è la rivoluzione del XX secolo, che si esprime essenzialmente attraverso una fondazione della politica, che valorizzi la dimensione comunità, attraverso la trasformazione in senso personalista delle strutture stesse della società. In un senso più politico Mounier mette in discussione quello che viene considerato uno dei capisaldi del Liberalismo cui si fonda la democrazia in un regime capitalista: “La libertà capitalista, utilizzando le sue stesse forme e le armi che le venivano offerte ha asservito la democrazia liberale all’oligarchia dei ricchi (oligarchia di potenza e di classe): quindi, all’ultimo stadio, a uno statalismo controllato dalle grandi banche e dalla grande industria, che si sono impadronite non solo delle leve occulte e dell’organismo politico, ma anche della stampa, dell’opinione pubblica, della cultura e a volte dei rappresentanti stessi del mondo spirituale per imporre la volontà di una classe e plasmare persino le aspirazioni delle masse sul modello delle proprie aspirazioni; pur rifiutando loro i mezzi per realizzarle” (“Rivoluzione personalista e comunitaria, pp. 276-277). 

Secondo Mounier, una persona viene impedita nella sua autentica realizzazione, per inseguire dei desideri non suoi e spezzare, attraverso il meccanismo della competizione degli uni contro gli altri, proprio quel senso di relazione, che ne è il tratto fondamentale.

Più problematico invece il rapporto con la Sinistra, in particolare con il partito comunista, che è sempre stato al centro del dibattito all’interno del gruppo di Esprit. L’esigenza rivoluzionaria, che ha animato sin dagli inizi il personalismo mouneriano, non poteva che avere come interlocutore privilegiato un partito che faceva proprio della rivoluzione il suo stesso obbiettivo; anche se, la preoccupazione del filosofo era quella di dare una base metafisica diversa da quella marxista alla medesima esigenza rivoluzionaria, per orientare la rivoluzione personalista verso linee divergenti da quella comunista.

In particolare, la rivoluzione comunista così come si è manifestata in Unione Sovietica è alla base di una diversità di moralità, anche rispetto alla tradizione occidentale. L’Occidente, infatti, è animato da una morale di tipo universale, nella quale è contenuta una distinzione tra il bene e il male. Questa morale è sorretta dai valori umanitari propagati dalla rivoluzione francese, che a loro volta sono i valori che provengono dalla tradizione cristiana. Il Comunismo, invece, nega sia una morale di tipo cristiano sia una morale di tipo umanitario; la lettura marxista della società come lotta di classe ha condotto a una rottura decisiva anche sul piano etico. Il proprietario edil-borghese non appartiene più alla stessa specie. L’esistenza di una sola morale è ormai impossibile. (Esprit, Gennaio 1940).  Conseguenza di tale presa di posizione è che tutto ciò che proviene dalla morale di tipo umanitario è borghese e come tale appartiene al nemico e, quindi, deve essere abbattuta.

Ma qual è, dunque, l’idea di rivoluzione, concepita da Mounier e dal gruppo di Esprit? Il filosofo francese parte da un’affermazione di Charles Pèguy: La rivoluzione o sarà morale o non sarà affatto. Mounier spiega questo concetto al dibattito fra i diversi movimenti giovanili, che si tiene il 18 Febbraio 1932, organizzato dallUnion pour la vèritè, nel quale si tenterà di chiarire le posizioni rivoluzionarie non marxiste della gioventù francese. In quell’occasione, il filosofo personalista chiarirà che se essere rivoluzionari significa sconvolgere periodicamente le istituzioni e l’universo intimo dell’Uomo, allora si tratta di una rivoluzione materialistica, che non risolve i problemi esistenziali e della libertà dell’Uomo.  La rivoluzione di Mounier sarà, pertanto, una rivoluzione spirituale in primis: “Tengo a precisare che la nostra rivolta contro il mondo del 1932 implica, senza alcuna riserva, la condanna e il rovesciamento del regime capitalistico attuale, con tutti i mezzi, soprattutto coi mezzi illegali, che sono i più efficaci.”

Fatta questa precisazione, Mounier spiegherà, come aveva più volte fatto, che la Rivoluzione personalistica vive nella storia e non nel mito, come quella Marxista. La struttura dialettica, sulla quale poggia la morale manichea comunista, come scriverà Nikolaj Berdjaev -filosofo russo emigrato in Francia nel 1922 e assiduo collaboratore di Esprit- conduce la visione della storia tutta proiettata verso il futuro, una visione che considera il presente come il mero strumento al servizio di ciò che sarà: “è per questo che è ammissibile creare oggi l’inferno, in vista del paradiso di domani” (Esprit, Gennaio 1940). “Noi non vogliamo un mondo felice, noi vogliamo un mondo umano e il mondo è tale solo se lascia aperte tutte le possibilità alle esigenze essenziali dell’Uomo. Ogni rovesciamento che non sia voluto da quelle, ogni rivoluzione che non si accompagni a una trasfigurazione, morrà di morte propria. Dunque, prima di tutto rivoluzione spirituale, o più precisamente […] rivoluzione al di sopra di tutto, essenzialmente profondamente spirituale.” (Rivoluzione personalista e comunitaria, pp.460-463).

Quindi, dato che una rivoluzione puramente materialista non è destinata a perdurare, venendo sempre sostituita da un’altra rivoluzione sempre materialista, bisogna ripartire dalla persona, e non dall'individuo.

 

La seconda fase del pensiero di Mounier. Il rinnovamento filosofico.

 

Negli anni ’40, quando ripresero le pubblicazioni, il filosofo personalista si trova di fronte a pesanti critiche, che gli vengono tanto dal mondo cattolico tradizionale, tanto dagli ambienti della Sinistra. Nonostante l’analisi etica, politica e l’innovatività del suo pensiero, pur riallacciato alla tradizione, manca di un rigore dottrinario filosofico. Quindi, tenterà di precisare sul piano filosofico il suo pensiero. Come già è stato detto, lo farà attraverso 2 pubblicazioni, uscite rispettivamente nel 1947 e nel 1949: Cos’è il personalismo? e Il personalismo.

In Il personalismo Mounier tende a presentare il personalismo come una “filosofia dell’impegno”, che avrebbe potuto svolgere un ruolo fondamentale nella costruzione di una nuova società. Per fare questo nel libro è presente un excursus sulla nozione di persona attraverso la storia. L’opera avrebbe dovuto rappresentò il testamento spirituale di Mounier per la sua riflessione più puntuale della fondazione della teoria del personalismo. Riflessione che non poté approfondire, a causa della sua prematura scomparsa del 1950.

Quest’opera fu concepita non come “sistema filosofico”, stile da lui più volte criticato, perché eccessivamente rigido e dogmatico, e, pertanto, chiuso a nuove implicazioni, ma come un’ambiziosa ricerca di una fondazione teoretica della categoria di persona. Nel libro si troveranno molte consonanze con la filosofia dell’esistenza, l’esistenzialismo, allora molto dibattuta in ambito europeo; ma, con la preoccupazione di muoversi, non dall’ “essenza”, ma dall’ “esistenza” incorporata, dato che la persona è sempre e non può non essere situata “in qualche modo impegnata” nella società.

Il cammino di lenta costruzione e graduale affermazione della persona per Mounier passa attraverso la qualità della relazione. La persona, infatti, è, essenzialmente, relazione e incontro con l’altro, il dialogo tra l’”IO” e il “TU”, che è strutturalmente costitutivo dell’essere, dal momento che dire persona è, appunto, dire relazione. Per questo, la comunicazione è al centro dell’universo personale. In questo senso bisogna distinguere tra persona e individuo.

La persona, come abbiamo visto ad esempio in Tommaso d’Aquino, è l’unione tra corpo e spirito e la sua esistenza si svolge nella storia, nella costruzione, insieme ad un noi di una società più giusta e umana. Al contrario, l’individuo si presenta come un uomo anonimo, indistinto, con un progetto di vita, ripiegato sulla propria esistenza, egocentrico e privo della relazione, che non sia dialettica tra interiorità ed esteriorità, tutta vissuta nella società.

Per Mounier, quindi la società deve assomigliare sempre di più a una comunità di persone, radicate nella storia. La concezione dinamica e non statica della persona fa si che essa, appunto perché “storia e movimento” sia per sua natura indefinibile. Ogni definizione, infatti, rischia di sclerotizzare ciò che invece è mobile in dinamico, trasformando il soggetto in oggetto.

In questo senso ogni definizione rinchiude, ogni descrizione apre e lascia aperto il discorso. Al centro de Il personalismo, come accennato prima, vi è la dialettica tra vita pubblica e privata. La persona entra in relazione in un certo senso contraddittoria con la società: da una parte, ha bisogno di essa per realizzarsi, dall’altra la società può essere una minaccia per la piena realizzazione della vita personale, che rischia di essere fagocitata dall’anonimato, per certi aspetti ineliminabile con ogni riforma della società.

Occorre, dunque, trasformare in senso personalista le strutture stesse della società, con il fondamentale passaggio dalla categoria di società a quella di comunità; per questo il Personalismo di Mounier si caratterizza come comunitario. La rivoluzione si esprime, dunque, attraverso una rifondazione della politica, che valorizzi ed esalti la dimensione comunità, rispetto alla dimensione società. Ritorna qui una delle idee guida della rivoluzione giovanile personalista e comunitaria, ma con una consapevolezza più matura della crescente complessità della società tecnologica, che Mounier comunque non demonizza.